Uno dei temi centrali del 2017 è chiaramente il protezionismo commerciale. Con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca e l’affermarsi di alcune forze nazionaliste e populiste come il partito della francese Marine Le Pen, l’ipotesi di mettere dazi, tariffe e muri si rafforza e conquista le prime pagine dei giornali.
Il tema ha tenuto banco anche nel corso delle sessioni di primavera del Fondo Monetario Internazionale secondo cui la ripresa mondiale si sta consolidando, ma i rischi politici e la spada di Damocle del protezionismo incombono sulla crescita.
E in Italia? Anche nel Belpaese prendere piede il dibattito: protezionismo sì o no? Ma basterebbe conoscere l’economia italiana e guardare i numeri per capire l’importanza per noi degli scambi commerciali. L’Italia è un Paese trasformatore e il nostro saldo commerciale con gli Stati Uniti è più alto di quello vantato dalla Germania. Ciò significa che nei confronti degli Stati Uniti, noi esportiamo tanto, più di quanto importiamo. Per questo sostenere dell’Italia, come fanno alcuni partiti, gli annunci di protezionismo provenienti da oltre Oceano è una posizione folle assunta da politici poco informati oppure in mala fede.
FMI: i rischi del protezionismo sulla crescita
Pur non citandolo esplicitamente, il riferimento di Christine Lagarde alla politica di The Donald è chiaro. Il numero uno del Fondo USA ha detto che dopo sei anni di crescita deludente, l’economia mondiale sta accelerando, ma ci sono dei rischi che potrebbero frenarla. Tra questi, c’è quella che ha chiamato la “spada” del protezionismo: “Assistiamo all’avanzare di dubbi sull’architettura che ha sostenuto la globalizzazione e l’ordine economico internazionale negli ultimi settanta anni, il mondo ha bisogno di più commercio non di meno commercio”.
Preoccupazioni sul fronte del protezionismo arrivano anche dal direttore del WTO, l’organizzazione del commercio internazionale, il brasiliano Roberto Azevedo. Nei giorni scorsi ha detto che gran parte dell’incertezza sul futuro del commercio globale è “ dovuta alla politica”. E questi timori sono ben visibili nelle stime di crescita. Nel 2016 il commercio internazionale è cresciuto soltanto l’1,3% pesando sulla crescita economica dei Paesi industrializzati. Per il 2017 le stime avrebbero dovuto segnare una ripresa più sostenuta, ma le incertezze sulla politica commerciale il WTO ha deciso di essere cauto: prevede un +2,4%, ma spiega che la forbice va dall’1,8 e il 3,6 a seconda di come si evolverà la situazione internazionale.
Import – export: i dati italiani
L’Italia è un Paese trasformatore, cioè importa materie prime ed energia ed esporta prodotti finiti. Molti prodotti simbolo dell’Italia e del famoso Made in Italy sono il risultato della capacità dei nostri produttori di selezionare le materie prime provenienti spesso dal mercato estero e di trasformali in prodotti di qualità. Non a caso la bilancia commerciale dei prodotti trasformati è in attivo, mentre quella delle materie prime è in passivo. In Italia sono migliaia le aziende che prosperano esportando all’estero grazie alle frontiere aperte e invocare il protezionismo per la tutela del made in Italy è un atto di autolesionismo puro.
L’export quindi è una componente fondamentale dell’economia di un Paese trasformatore come l’Italia. Il nostro saldo commerciale, per esempio con gli Stati Uniti, è in attivo da anni ed è maggiore di quello tedesco. Nel 2016 l’export italiano nei confronti degli Stati Uniti valeva il 169,9% dell’import. Basta andare sul sito United States Census Bureau per vedere quanto valgono gli scambi commerciali tra USA e Italia. Nel 2016 l’Italia ha importato dagli USA per un valore di 16,7 miliardi di dollari, ma ha esportato merci per 45,2 miliardi. L’Italia quindi ha un saldo positivo nei confronti degli USA di oltre 28 miliardi di dollari. Dal lato americano ovviamente il saldo è negativo.
E se guardiamo le serie storiche dal 1985 (primo anno disponibile) in poi il saldo per l’Italia nei confronti degli Stati Uniti è sempre stato positivo, anche se con cifre, nel passato, molto più contenute. Per quanto riguarda il 2017 invece, i dati sono ancora troppo parziali, ma la tendenza è confermata: tra gennaio e febbraio abbiamo importato dagli USA 3 miliardi di dollari di merci e ne abbiamo esportati 7, con un saldo positivo di 4 miliardi di dollari.
Cosa esportiamo negli USA
Oltre ai dati sulle quantità di merci esportate negli USA, su cui non ci piove, è interessante vedere anche la tipologia di prodotti che l’Italia porta Oltreoceano. Su questo il sito del Ministero italiani degli affari esterni fornisce una fotografia interessante (anche se aggiornata al 2015).
Tra i principali partner commerciali dell’Italia gli Stati Uniti si posizionano al terzo posto, dopo Germania e Francia. Gli Stati Uniti sono il terzo mercato di esportazione per l’Italia e tra i Paesi dell’UE, l’Italia si conferma il quarto fornitore del mercato americano, dopo Germania, Regno Unito e Francia. Al contrario gli USA sono il 21esimo Paese fornitore per l’Italia.
Per quanto riguarda i prodotti esportati è la meccanica a farla da padrone con una quota nel 2015 del 25,8% sul totale delle importazioni americane dall’Italia. Seguono poi i settori: moda e accessori (18,8%); semilavorati (18,4%): mezzi di trasporto (12,4%); agroalimentari e bevande (10,2%) e arredamento e edilizia (5,6%).
Dall’altra parte i prodotti USA maggiormente importati in Italia sono i prodotti farmaceutici di base e i preparati farmaceutici (quota 23,1%); le macchine e le apparecchiature nca (10,5%): altri mezzi di trasporto (9,1%); computer e prodotti di elettronica e ottica (6,9%).
Italia e protezionismo
I dati elencati sopra ci dicono alcune cose importanti: l’Italia esporta negli Stati Uniti molto più di quanto non importi, l’Italia ha una posizione privilegiata tra i Paesi fornitori degli Stati Uniti, il nostro export verso gli USA vale oltre 45 miliardi.
Le conclusioni sono presto tratte: dal protezionismo USA l’Italia ha molto da perdere. Se nell’ottica USA, Paese importatore, dazi e tariffe potrebbero spingere i cittadini ad “acquistare americano”, dal nostro punto di vista significa mettere a repentaglio un mercato che vale 45 miliardi di export.Auspicare in Italia che Trump metta in pratica i suoi annunci di protezionismo è come darsi la zappa sui piedi sostenendo che sia una buona idea.