Gli ingredienti ci sono tutti: parentele, movimenti che puzzano di speculazione, decreti governativi, amici nell’alta finanza, conflitto di interessi e un’indagine dalla Consob. Questo è il panorama a margine del decreto investment compact annunciato ufficialmente il 20 gennaio scorso, ma già nell’aria, e forse su qualche scrivania di troppo, alcuni giorni prima.
Decreto banche popolari
Intanto cerchiamo di chiarire, in breve, in cosa consiste il decreto. L’investment compact abolisce il voto capitario (il principio per cui “un socio vale un voto” a prescindere dalla quota detenuta) per le Banche Popolari che si trasformeranno in Spa, società per azioni. Le banche interessate dal decreto sono le popolari con un attivo superiore a 8 miliardi: Banco Popolare, Ubi Banca, Popolare Emilia Romagna, Popolare di Milano, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Sondrio; ci sono inoltre tra le non quotate il Credito valtellinese, la Popolare di Bari e la Popolare dell’Etruria e del Lazio. Dall’emanazione del regolamento attuativo della Banca d’Italia le banche popolari avranno 18 mesi di tempo per la trasformazione in Spa.
Ipotesi speculazione
Il decreto è stato presentato il 20 gennaio a mercati chiusi. Ma alcuni giorni prima, dei movimenti sospetti sul mercato londinese hanno fatto drizzare le antenne alla Consob che ha aperto un’indagine per presunto insider trading. In realtà i primi a puntare la penna su queste strane coincidenze sono stati il Corriere della Sera e il Fatto Quotidiano. Ora alla Consob spetta il difficile compito di ricostruire i movimenti londinesi che, anticipando la presentazione del decreto e il balzo delle popolari in Borsa, puzzano tanto di speculazione.
Il Corriere della Sera sottolinea come “a fine settimana, nonostante le prese di profitto di ieri, il Banco Popolare, per esempio, registra un balzo del 21%, Ubi del 15%, la Popolare Emilia del 24% e Banca Popolare di Milano del 21%. E non sono titoli sottili che si muovono con un paio di ordini fuori prezzo. Ma lo scatto più spettacolare è quello della Popolare Etruria e Lazio di cui è vicepresidente Pier Luigi Boschi, il padre del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi: +66%”.
Parentele e conflitto di interessi
Tra le operazioni londinesi spicca in particolare il maxi rialzo del 66% della Popolare Etruria e Lazio in cui lavora il padre del Ministro Boschi e anche il fratello. Gli acquisti sulle popolari sarebbero iniziati il 15 gennaio, ben 5 giorni prima della presentazione del decreto investment compact. E secondo le prime ricostruzioni, le operazioni svoltesi sulla piazza di Londra sarebbero state fondamentali per il picco registrato dalla Popolare Etruria e Lazio che negli ultimi anni versava in condizioni economiche tutt’altro che rosee.
Il mondo dell’informazione e della politica chiede conto al Ministro Boschi della sua implicazione personale nella vicenda. Il Ministro per le riforme costituzionali infatti, ha partecipato alla seduta del 20 gennaio nella quale è stato approvato il provvedimento, aprendo così la strada a polemiche e insinuazioni sul conflitto di interessi.
Indagine Consob
La Consob ha fatto sapere di aver aperto un’indagine per presunto insider trading ovvero il reato finanziario che consiste nel trarre profitto dall’acquisto o vendita di titoli in base a informazioni riservate di cui si è venuti a conoscenza grazie alla propria posizione o alla propria attività professionale.
A complicare il lavoro della Commissione e anche la posizione dell’esecutivo Renzi, c’è la possibile implicazione del fondo Algebris di Davide Serra. Il fondo del guru finanziario, nonché amico di Renzi e suo sostenitore economico, ha base proprio a Londra da cui opera sui mercati finanziari internazionali. Il fondo di Serra, negli ultimi anni, ha finanziato la renzianissima fondazione Open di cui Maria Elena Boschi è segretario generale. I maligni, a questo punto, potrebbero dire che così il cerchio si chiude.