Il Dieselgate, come ormai è stato rinominato, è certamente lo scandalo del 2015 e probabilmente il più grande del secolo, almeno per quanto riguarda il settore auto. L’installazione del software per truccare le emissioni dei motori Diesel da parte della prima casa automobilistica tedesca ha scandalizzato il mondo intero e creato una voragine di fiducia e finanziari nella solidissima società di Wolfsburg.
Ma lo scandalo Volkswagen non è il primo nella storia della Germania. Nonostante il ritratto di nazione proba e rispettosa delle regole infatti, la Germania vanta una serie di truffe e scandali societari da fare invidia alla “mafiosa” Italia. Principali protagoniste degli scandali in salsa tedesca sono state la Siemens, Deutsche Post, Man, Bayer, Krauss-Maffei Wegmann, Deutsche bank, Lufthansa e anche la Bundesliga.
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Man mano che lo scandalo Volkswagen si diffonde tra i Paesi europei, con la Svizzera che ha bloccato la vendite e Londra e Parigi che annunciano controlli a tappeto, si ha l’impressione che nessuno Stato potrà uscire immune dal Dieselgate. Il 27 settembre è stato annunciando del governo italiano che sul territorio del Belpaese potrebbero essere in circolazione circa un milioni di veicoli con il motore diesel truccato. Ma lo scandalo Volkswagen in Italia assume non soltanto i contorni di una danno, ma anche quelli della beffa. A giugno infatti, la Volkswagen ha vinto l’appalto indetto dal Ministero degli Interni per le nuove gazzelle di polizia di Stato e carabinieri che viaggeranno su circa 4000 Seat Leon che potrebbero essere coinvolte nello scandalo.
Ma i rischi più grandi per l’Italia provengono proprio dal settore auto. Il rapporto tra Roma e Berlino per quanto riguarda l’automotive è molto forte. Un’eventuale crisi di Volkswagen potrebbe compromettere o almeno danneggiare anche l’Italia. I fronti più a rischio sono due: l’export e il settore auto italiano. A luglio, le vendite di made in Italy sui mercati internazionali hanno superato in un mese la soglia dei 40 miliardi di euro, il top in valori correnti. I maggiori mercati di sbocco per i prodotti italiani sono Germania e Francia. E i settori trainanti dell’export italiano sono “macchine e apparecchi” (7.673 milioni di export), “tessili, pelli e abbigliamento” (5.404 milioni) e “prodotti in metallo” (4.442 milioni). Detto in altre parole il nostro export è trainato dalle vendite in Germania di auto e apparecchi in metallo. Chiara l’antifona? Inoltre il nostro settore auto è fortemente legato a quello tedesco. Si stima che circa l’8% dei componenti delle auto prodotte in Germania provenga da impianti italiani. Se Volkswagen frena, frena il settore auto tedesco e quindi frena anche il suo indotto di cui i produttoti italiani fanno parte. Vale anche il ragionamento inverso: il 16% dei componenti utilizzati dalle case italiane proviene infatti, dagli impianti tedeschi.
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Per non parlare del danno economico che l’Italia avrebbe nel caso in cui fossero coinvolte altre case automobilistiche, FCA compresa. Se la pratica di utilizzare software illegali per truccare le emissioni si rivelasse diffusa ad altri marchi, per l’economia italiana sarebbe davvero un problema. Nel 2015 le rilevazioni ISTAT sul PIL e sulla produzione industriale italiana hanno evidenziato un dato importante: l’economia è trainata dal settore auto, in particolare dalla FCA di Sergio Marchionne. A fine maggio l’ISTAT ha pubblicato il dato ufficiale sul PIL del primo trimestre dell’anno, +0,3% congiunturale. Ma questa lievissima ripresa, come abbiamo spiegato, è stata trainata per oltre il 90% dagli investimenti in mezzi di trasporto, in particolare auto, in particolare FCA. A giugno i dati sulla produzione industriale hanno seguito lo stesso copione. Produzione italiana in calo, ma l’unico settore che ha evidenziato una crescita è quello dei mezzi di trasporto in crescita del 17%. Stessa cosa per i dati più recenti: a settembre l’ISTAT annuncia un balzo della produzione industriale italiana che sale dell’1,1% spinta dalla fabbricazione di mezzi di trasporto che mette a segno un +20,1%. Insomma il vero e unico motore dell’economia italiane è il settore auto, bloccando questo si blocca la crescita del Paese.
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