Una nuova pesante accusa nei confronti dell’agenzia di rating Standard & Poor’s arriva dalla procura di Trani che dal 2011 indaga seguendo l’ipotesi di manipolazione di mercato. Nuovi particolari della vicenda, pubblicati sulle pagine del Corriere della Sera, gettano altre ombre sull’operato dell’agenzia di rating e della banca d’affari statunitense che incassò 2,5 miliardi di euro.
Secondo l’accusa, S&P declassò ingiustamente l’Italia al fine di permettere alla banca d’affari Morgan Stanley, sua controllante, di incassare 2,5 miliardi di euro dallo Stato italiano. A cui si aggiungono gli interrogativi della procura sulla totale passività con cui il Ministero del Tesoro italiano, allora presieduto da Mario Monti, ha accordato i 2,5 miliardi alla banca d’affari. Questo scenario è attualmente sotto accusa da parte della procura di Trani per “manipolazione del mercato”.
Correva l’anno 2011. Il 19 settembre S&P annuncia improvvisamente il downgrade dell’Italia, ovvero il taglio del giudizio sull’affidabilità economica del paese. Il giudizio di S&P sul debito pubblico italiano passa così da A a BBB+. In seguito al declassamento dell’Italia, la Morgan Stanley, appellandosi ad una clausola del contratto di finanziamento sottoscritto dal Mef, andò alla cassa chiedendo 2,5 miliardi di euro al Tesoro italiano.
Il Ministero dell’economia a partire dagli anni 90 ha iniziato a sottoscrivere contratti di finanziamento con le banche d’affari statunitensi. Solitamente questi contratti presentano delle clausole bilaterali che permettono ad una delle due parti di sciogliere il contratto liquidando all’altra l’attivo dovuto. Ma il contratto di finanziamento in questione, siglato tra il Mef e Morgan Stanley prevede una clausola unilaterale: soltanto la banca d’affari aveva la facoltà di sciogliere il contratto in caso di declassamento dell’Italia o di eccessiva esposizione verso il nostro paese.
Così appena giunta la notizia del declassamento del Belpaese, Morgan Stanley ha bussato alla porta del Mef chiedendo 3 miliardi di euro di attivi, ricevendone subito 2,5. Sulla vicenda del declassamento la procura di Trani avviò un’inchiesta, ipotizzando il reato di manipolazione del mercato da parte delle agenzie di rating. Secondo la procura infatti, il downgrade fu deciso “illegittimamente e dolosamente” da S&P “al solo fine di danneggiare l’Italia”.
Ma a suscitare l’interesse della procura è anche il rapporto tra la banca d’affari e la società di rating all’epoca dei fatti. Morgan Stanley infatti, secondo i pm e le dichiarazioni dell’European Securities and Markets Authority è tra i soci di McGraw-Hill financial, colosso dell’informazione che controlla proprio S&P. Questi nuovi particolari vanno ad integrare l’inchiesta della procura di Trani gettando ancora più ombre sul comportamento delle parti in causa. Il 5 marzo riaprià i battenti il processo contro le agenzie di rating intrapreso dalla procura dopo numerosi esposti di Adusbef e Federconsumatori.
Gli inquirenti però si sono anche chiesti perchè il Mef abbia deciso di pagare senza battere ciglio i 2,5 miliardi di euro alla banca d’affari nonostante fosse già scattata l’inchiesta per manipolazione del mercato. Sul punto, lo scorso maggio, è stato sentito il dirigente del debito pubblico del Mef, Maria Cannata. Alla domanda: “Perchè non consultare l’avvocatura dello Stato vista la somma importante?” Cannata rispose: “Non c’erano i tempi tecnici. Quando una cosa è così chiara e netta lo Stato non può permettersi di dire: Vabbé, adesso vedo se ti applico la clausola o no. Reputazionalmente sarebbe deleterio.”
(Articolo pubblicato anche su 2duerighe.com)