Parlamentari condannati: che nessuno tocchi quei vitalizi. La Casta difende sé stessa

Loro le chiamano “criticità costituzionali”, noi cittadini le chiamiamo “scuse”. Queste sono le due prospettive da cui è possibile guardare la faccenda dei vitalizi erogati ai parlamentari condannati. Il Presidente del Senato Pietro Grasso preme da mesi affinché il parlamento si decida ad abolire il vitalizio per i senatori e deputati condannati in via definitiva. Apparentemente tutti d’accordo sulla necessità di una tale prova di onestà politica, quando poi si arriva ai fatti c’è sempre chi si tira indietro e accampa scuse o “criticità” di ogni genere.

L’ultimo stop alla delibera che abolisce il vitalizio per i parlamentari condannati arriva dal parere di Cesare Mirabelli, ex vicepresidente del Csm e presidente emerito della Consulta interpellato sulla questione proprio dai vertici del Senato. Secondo Mirabelli l’abolizione dei vitalizi per i parlamentari condannati presenterebbe “diversi profili di incostituzionalità”. In parole povere: l’abolizione del vitalizio, a suo dire, andrebbe contro il dettame costituzionale e quindi non potrebbe mai essere applicata.

Ma a smentire tale posizione è arrivato il Presidente Grasso in persona: “Il Senato ha tutto il diritto di abolire i vitalizi dei senatori condannati, non serve una legge”. Della serie: se c’è la volontà di farlo, facciamolo e basta, senza tante scuse. Le parole della seconda carica dello Stato arrivano come una doccia fredda sui parlamentari rincuorati dalla posizione di Mirabelli e pronti ad archiviare la questione.

Grasso si è appellato alla Legge Severino, quella che ha decretato la decadenza di Berlusconi in seguito alla condanna per frode fiscale: “Quando una condizione di eleggibilità viene meno cade il presupposto sia per l’esercizio di una carica sia per la percezione di emolumenti che sono collegati ad una carica che non si può più ricoprire. E questo deve riguardare anche i vitalizi e le pensioni”.

Abolizione vitalizi ai condannati

Come spiegato dal fatto Quotidiano la delibera, messa a punto dal Consiglio di presidenza, prevede “la cessazione dell’erogazione dei trattamenti previdenziali a titolo di assegno vitalizio o pensione a favore dei senatori cessati dal mandato che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per reati (consumati o tentati) di mafia, corruzione e contro la pubblica amministrazione; oppure condanne definitive superiori a due anni di reclusione per delitti non colposi (consumati o tentati) per i quali la legge prevede la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni”.

L’Italia può vantarsi (tristemente) di avere una folta squadra di parlamentare ed ex parlamentari condannati a cui i cittadini continuano a pagare il vitalizio. Tra i più noti:  Vittorio Sgarbi, Marcello Dell’Utri, Arnaldo Forlani, Paolo Cirino Pomicino, Cesare Previti e Silvio Berlusconi.

Per molti di loro, soprattutto i più ricchi, quel vitalizio vale quanto una paghetta data dai nonni ai propri nipoti. Per i cittadini invece, rappresenta una voce di spesa che potrebbe essere convogliata altrove, per il bene della collettività. E la sua abolizione una scelta sacrosanta per una classe politica che cerca di riaffermare la propria legittimità di fronte ad un intero paese di cittadini sfiduciati, per non dire incazzati.

 

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