Le partecipate passeranno dalle 8mila attuali a mille nel giro di tre anni. Era l’aprile del 2014 quando l’allora premier Matteo Renzi disse questa gigantesca panzana nell’ambito dell’approvazione del Documento di economia e finanza.
Non solo. Nell’autunno del 2014, con la legge di stabilità, Renzi tornò sull’argomento spiegando che le misure contenute nella manovra avrebbero comportato la riduzione delle prime 2.800 partecipate entro il 31 dicembre 2015.
Ad oggi, i carrozzoni pubblici sono ancora tutti lì, al loro posto, l’unica cosa che ancora manca è una legge che imponga agli enti pubblici di dismettere le loro partecipazioni in società in perdita. Non solo la normativa arriverà con un mostruoso ritardo, ma sarà anche notevolmente annacquata rispetto agli obiettivi iniziali. Ieri si è tenuta una conferenza Stato-Regioni straordinaria per trovare l’intesa sul perimetro della norma: il tetto minimo di fatturato sotto il quale le partecipate devono essere dismesse è stato tagliato; il termine per la presentazione del piano di razionalizzazione da parte delle Regioni rinviato e si è deciso di salvare dalla mannaia le società che gestiscono i casinò, anche se sono in profondo rosso.
A tre anni dall’annunciazione renziana, non solo le partecipate non si sono ridotte a mille, ma ancora non c’è una norma che imponga alle amministrazione locali modi e tempi per le dismissioni. Il copione è sempre lo stesso: fatti gli annunci (su temi “popolari” come la razionalizzazione dei carrozzoni pubblici) e presi gli applausi, poi cala il silenzio e si cambia strada, i tempi si allungano, le misure sbiadiscono.
E questo non è esattamente il miglior biglietto da visita per chi intende ritornare in sella e candidarsi alla guida di un partito o del Paese. La vicenda delle partecipate dimostra che il Governo di Renzi non è stato in grado di attuare il programma e rispettare le promesse fatte da Palazzo Chigi. Ridurre la partecipate pubbliche da 8mila e mille significa scontentare Regioni, Comuni, ma anche migliaia di manager e dipendenti, un bacino elettorale troppo ampio per essere messo a rischio.
Taglio partecipate: un passo indietro
Il primo passo per il taglio partecipate è stato fatto con la legge di stabilità per il 2015: un passetto incerto e traballante. Il testo intimava a enti locali, camere di commercio, istituti di istruzione pubblici e autorità portuali, di iniziare un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni direttamente o indirettamente possedute in modo da ottenere una riduzione di 2.800 nell’arco di un anno. Peccato che il testo non prevedesse alcuna sanzione e infatti non si è mossa foglia.
Nell’agosto del 2015 arriva la legge di delega fiscale per la riorganizzazione delle società pubbliche targata ministro Marianna Madia, ma il percorso per l’approvazione dei decreti legislativi attuativi (senza i quali la legge delega è una scatola vuota) è tutto in salita.
Nei primi mesi del 2016 arrivano i primi decreti, già molto meno incisivi di quanto gli annunci renziani avessero fatto intendere. Intanto il Governo approva una lista di circa 40 partecipate che non ricadranno nel perimetro della razionalizzazione delle partecipate. Così indipendentemente dai risultati di bilancio e dalla loro utilità pubblica, società come Expo, Arexpo, Coni, Sogin, Anas, Invitalia, Eur, Gse e altri sono comunque salve. Inoltre sono esonerate le aziende quotate e, per 12 mesi, quelle che hanno emesso obbligazioni. A conti fatti, la razionalizzazione non potrà tagliare più di 5mila società arrivando quindi a 3mila anziché mille.
Non solo, il Governo fa anche una bella piroetta sullo stipendio dei dirigenti. Annunciati interventi di “moralizzazione” sui compensi di manager e amministratori delle partecipate che non potranno superare la soglia dei 240mila euro all’anno, si decide però di escludere dal calcolo i “bonus”.
La riforma si è arenata anche per l’intervento della Consulta che ha bocciato dei decreti attuativi approvati dal Governo Renzi con il solo parere delle Regioni anziché con l’intesa prevista dalla legge quando l’esecutivo va ad incidere su materie di competenza regionale. Il nuovo decreto attuativo della riforma Madia riscritto dopo la bocciatura della Consulta presenta altre sorprese.
Il decreto proroga ulteriormente, dal 23 marzo al 30 giugno 2017, il termine entro cui le amministrazioni pubbliche devono fare una ricognizione di tutte le partecipate per procedere alla razionalizzazione. Nel caso delle partecipazioni regionale, la novità è che il governatore potrà stabilire a piacimento “l’esclusione, totale o parziale, di singole società dall’ambito di applicazione della disciplina”, se ci sono “precise finalità pubbliche nel rispetto dei principi di trasparenza e pubblicità”. Insomma, le Regione potranno salvare tutti i carrozzoni che vogliono. Resta invece, il tetto di un milione di euro di fatturato sotto il quale le società dovranno essere chiuse.
Partecipate: l’ultima intesa Governo-Regioni
Le sorprese non sono ancora finite. La conferenza straordinaria di giovedì 16 marzo tra Governo e Regioni aggiunge un altro tassello alla disfatta. Slitta ancora una volta, dal 30 giugno al 30 settembre il termine fissato per le amministrazione che devono buttare giù la lista della partecipate da chiudere o dismettere e dei dipendenti in esubero. Visto che la riforma è contenuta nella legge di stabilità del dicembre 2014 a quest’ora Regioni e Comuni dovrebbero avere le idee abbastanza chiare.
Accolta anche la richiesta dei Comuni che chiedevano di permettere agli enti locali di partecipare a gare anche fuori dal territorio dell’amministrazione proprietaria, a patto di non avere bilanci in perdita strutturale (4 anni degli ultimi 5) e non essere titolari di affidamenti in house.
Infine, come ciliegina sulla torta, arriva l’esonero dal piano di razionalizzazione delle partecipate per le società che gestiscono casinò. Clausola fortemente voluta dalla Regione Valle d’Aosta per salvare il casinò di Saint Vicent prevede che queste partecipate siano salve anche se hanno chiuso in rosso quattro degli ultimi cinque bilanci. Andando di questo passo chissà quante altre novità usciranno fuori da qui al 30 settembre (ammesso che il termine non subisca un’altra proroga).