Resa dei conti per l’acciaio di Piombino

Sono in arrivo settimane cruciali per il futuro del polo siderurgico di Piombino. Le due aziende più rappresentative del territorio, Aferpi e Magona, si trovano al bivio che potrebbe sbloccare uno stallo di mesi, con oltre 1.500 dipendenti appesi agli ammortizzatori sociali. L’ex Lucchini – acquisita dal gruppo algerino Cevital del magnate Issad Rebrab e rinominata Aferpi – è in bilico tra una nuova vendita e il commissariamento dal parte del Governo, mentre la Magona potrebbe essere rilevata dal gruppo Arvedi, con una mossa necessaria a concludere il puzzle italiano dell’acciaio che ha nell’Ilva di Taranto il protagonista assoluto.

Il quadro è complesso, ma non da ora. Risale al 2014 l’Accordo di programma per il rilancio dell’area di crisi industriale di Piombino indicata dal Governo “complessa” e per questo meritevole di risorse stanziate ad hoc e procedure d’urgenza. E, dopo più di tre anni, il bilancio non può che essere deludente: le bonifiche sono in stallo, l’acciaio è ancora in ginocchio, i lavoratori appesi agli ammortizzatori sociali e manca una regia in grado di portare Piombino fuori dal pantano.

Le scadenze cruciali sono il 26 ottobre per la Magona e il 31 ottobre per Aferpi. Nel primo caso la palla è nel campo dell’Antitrust della Commissione europea che deciderà sul dossier relativo all’acquisizione dell’Ilva da parte di Am Investco Italy, la joint venture partecipata all’85% da ArcelorMittal (proprietaria della Magona di Piombino) e al 15% da Marcegaglia. Il gruppo franco-indiano rischia di trovarsi in mano quote di mercato vicine o superiori alla soglia limite stabilita dalle regole Ue e quindi, se rileverà l’Ilva, sarà obbligato a vendere qualche asset. La fretta di ArcelorMittal fa buon gioco al gruppo Arvedi interessato alla Magona, azienda storica di Piombino che produce acciai speciali. Sullo stato di avanzamento delle trattative le bocche sono cucite, ma l’impressione a Piombino è che l’affare sia in dirittura d’arrivo.

Claudio Valacchi, coordinatore Fiom, dice che il sindacato si aspetta di «essere convocato un attimo dopo la firma dell’accordo, per incontrare subito la nuova proprietà». Considerando più che plausibile il passaggio ad Arvedi, Valacchi manda un messaggio chiaro: «In caso di cessione vogliamo che sia salvaguardata l’occupazione, i salari e i diritti acquisiti di tutti i dipendenti e vogliamo un piano industriale che punti al rilancio, sarebbe inaccettabile qualsiasi altra soluzione».

Al primo posto per i sindacati quindi c’è la salvaguardia dei 482 dipendenti oggi tutti in solidarietà (che scade il 30 settembre 2018). Anche Gianni Anselmi, presidente della commissione Sviluppo economico della Regione ed ex sindaco di Piombino, segue la vicenda con cauto ottimismo: «Quando c’è l’interesse di un gruppo di prim’ordine come Arvedi – commenta – è sempre una buona notizia, ma se resta da capire quale siano le prospettive. Hanno fatto bene i sindacati a chiedere un incontro per approfondire i possibili sviluppi».

L’altra delicata partita di Piombino si gioca sull’area dell’ex Lucchini. Dopo un braccio di ferro durato alcuni mesi, il ministero dello Sviluppo economico ha lanciato un ultimatum: Cevital deve trovare un partner entro il 31 ottobre con relativo piano industriale, pena la rescissione del contratto. Secondo la Fiom sono numerosi gli scenari che si apriranno quel giorno. Il più indolore vede l’arrivo di qualche soggetto interessato ad entrare in Aferpi e con la liquidità necessaria per far partire davvero il rilancio di Piombino. Il nome che circola in questi giorni è quello del gruppo indiano Jindal con cui Cevital starebbe discutendo del prezzo per il passaggio di mano.

«Il gruppo Jindal – spiega Anselmi – non si è ancora palesato ufficialmente, ma si sa che ci sono trattative in corso. Non resta che confidare in un percorso in grado di fornire garanzie sull’occupazione e di rispondere alle esigenze del territorio anche in termini di diversificazione e quindi di sostenibilità a medio-lungo termine».

Ma i sindacati credono poco all’arrivo di un altro cavaliere bianco. «Il secondo scenario – spiega Jonathan Ghignoli, coodinatore Fiom – prevede l’insolvenza: l’azienda non paga più i creditori e fallisce. A quel punto si tornerebbe alla gestione commissariale, ma in questo caso abbiamo due interrogativi: gli ammortizzatori sociali resteranno? E il commissario avrà i poteri necessari a far ripartire le attività?».

O ancora: «Rebrab viene dichiarato inadempiente, il Governo riprende in mano lo stabilimento e ci mette una nuova governance». In questo caso però il timore del sindacato è che l’imprenditore algerino faccia ricorso contro la rescissione del contratto e che l’avvio di un contenzioso legale blocchi tutto per chissà quanto tempo.

La soluzione auspicata dal sindacato è un’altra ancora. «Noi chiediamo che il Governo faccia valere il suo 27% di Aferpi (che ha tenuto in quanto “controllore” del piano di rilancio), il primo novembre metta da parte Rebrab e porti a Piombino una nuova governance a carattere pubblico. Con soldi pubblici sarà anche possibile comprare i semilavorati per far ripartire la produzione e solo successivamente portare l’azienda verso una nuova vendita». In vista della scadenza di fine mese, per lanciare un messaggio chiaro al Governo, oggi i dipendenti Aferpi hanno occupato i binari interni dello stabilimento per bloccare la spedizione delle merci.

In questi mesi i 2.100 dipendenti di Aferpi possono contare sulla cassa integrazione straordinaria prevista dal decreto del 23 giugno scorso che prevede una durata di 18 mesi e il 60% del salario lordo. Oggi l’ex Lucchini ha in attività soltanto il treno rotaie che secondo i calcoli del sindacato occupa meno di 400 persone (200 addetti alla laminazione, 100-150 per i servizi e la manutenzione, 50 impiegati dell’amministrazione) e si fermerà di nuovo il 24 ottobre per mancanza di materie prime.

Alla Fiom controbatte l’azienda che annuncia l’arrivo di una nave di semilaminati utili a tenere attivo il treno rotaie. Riccardo Grilli, responsabile relazioni esterne di Aferpi, conferma «un ordine da 15mila tonnellate. Siamo in attesa di sapere dall’India la data di arrivo della nave a Piombino».

I problemi di ordine operativo che pesano sulle attività di Piombino però dipendono in gran parte dall’assenza della politica che, nonostante la firma dell’Accordo di programma, non ha favorito, nè vigilato sul rilancio dell’area. L’accusa arriva dagli industriali. «Le aspettative create con l’Accordo di programma non si sono realizzate in nessuno degli obiettivi» – spiega Umberto Paoletti, direttore di Confindustria Livorno-Massa Carrara. «Il tempo trascorso è un’enormità, ma c’è stata fin dall’inizio scarsa sintonia e coordinamento tra enti ed organismi dipendenti, per questo noi sosteniamo il progetto della holding di territorio», una sorta di cabina di regia che dovrebbe riunire i principali Comuni interessati per velocizzare le procedure e portare risultati.

Anche Anselmi denuncia i ritardi nel rilancio di Piombino. «Quello di Rebrab è stato un tradimento, tutti avevamo riposto fiducia nel progetto Aferpi, ma ormai è chiaro che prima se ne esce e prima possiamo provare a ripartire. Quella dell’area di crisi industriale complessa di Piombino – aggiunge – è una sfida ciclopica, che ha subìto una battuta d’arresto non prevista. Dobbiamo capire come rimettere in moto il meccanismo».

Non resta che sperare che la resa dei conti in arrivo sia in grado di dare il giusto impulso al rilancio del polo siderurgico, in caso contrario Piombino si troverebbe in un vicolo cieco.

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